La Lazio che Sogno

La Lazio che Sogno

La Lazio che sogno… Dopo anni di buio pesto e di assenza di prospettive, ora finalmente si vede una luce in fondo al tunnel e anche se veniamo da 21 anni di sogni andati in frantumi e di speranze di cambiamento svanite come un miraggio in pieno deserto, la sensazione che qualcosa stia per succedere c’è.

E si può quasi toccare con mano per quanto è reale, palpabile, anche se il nostro pessimismo laziale e il nostro non vendere mai la pelle dell’orso prima di averlo catturato ci porta ad essere prudenti, scettici, diffidenti.

Ma i segnali sono tanti e allora ecco che ogni tanto la mente vola e prova a guardare dietro l’angolo, dando corpo ai nostri desideri, al punto da modellare quasi la Lazio che tutti noi vorremmo vedere al posto di questo ibrido che ha il nome e i colori della Lazio ma che non è la nostra Lazio.

E allora anche io, che da sempre sono più realista del Re, chiudo gli occhi e mi lascio andare…La Lazio che sogno, ha al suo vertice un personaggio che non deve essere per forza di cose il patron più ricco della Serie A, ma che deve avere voglia e mezzi per riportare questa società ai fasti di fine secondo millennio, magari con basi più solide per durare se non per sempre più di quella parentesi targata Sergio Cragnotti.

La Lazio dei miei sogni ha come presidente non un personaggio egocentrico, rancoroso, scostante e perennemente in guerra con i laziali come Claudio Lotito, ma un patron che ha il sorriso contagioso di Ugo Longo, l’umanità di Umberto Lenzini, le capacità manageriali di Sergio Cragnotti e la classe del laziale perfetto incarnata secondo me da Gian Chiarion Casoni.

La Lazio dei miei sogni è una società aperta alla gente e al dialogo, non un club perennemente in guerra con il mondo, a partire proprio dalla sua gente per finire con tutti gli uomini di potere del calcio e dello sport italiano.Perché la storia insegna che le guerre non uniscono ma dividono e, soprattutto, non portano mai da nessuna parte. Ma anche perché ci sono altri modi per farsi rispettare che non usare sempre l’arma delle minacce, del ricatto, delle querele e dei processi che poi regolarmente si perdono: perché spesso sono fondati sul nulla o perché vengono messi in piedi solo per appagare l’egocentrismo di un personaggio che si è convinto di essere il centro dell’Universo. E non solo di quello laziale.

La Lazio dei miei sogni, quindi, farebbe di tutto per riavvicinarsi alla sua gente per ricucire gli strappi, per far sparire quelle crepe diventate nel corso di questi anni prima dei solchi e ora una sorta di Gran Canyon che separa chi sta sul trono di Formello dal popolo laziale.

E il primo passo sarebbe quello di spazzare via barriere e steccati e ricompattare le mille fazioni in cui oggi è diviso quello che prima dell’avvento di Claudio Lotito noi chiamavamo con orgoglio, come fa Sarri, il “popolo laziale”.

E l’uomo alla guida della Lazio che sogno lo farebbe sul serio: con atti concreti e senza troppe parole, senza dover sbandierare progetti che sono solo la facciata di un palazzo vuoto all’interno e senza fondamenta, come quelli che si usano nei set cinematografici. E per farlo, l’uomo alla guida della Lazio che sogno partirebbe riportando tanta Lazio dentro la Lazio, soprattutto per insegnare a chi arriva in questa società che cosa è stata e che cosa è la Lazio: un’entità che in questi 125 anni di storia è stata ed è molto più di una società di calcio dalla vita travagliata e con storie incredibili da raccontare.

Riportare i laziali nella Lazio non è una garanzia di successo, ma garantirebbe quel supporto fondamentale quando vengono meno i risultati e che in questi anni, invece, in assenza di risultati ha fatto esplodere sempre quel fuoco del malessere che arde da lustri anche sotto la cenere.

La Lazio che sogno, la domenica non giocherebbe allo stadio Olimpico, ma dall’altra parte del Tevere, dove si è fatta la storia della Lazio.Avrebbe la sua casa in un catino ultramoderno da 42.000 posti e di sua proprietà, con bar, ristoranti e negozi, sorto sulle ceneri di quel vecchio impianto che nel corso del tempo si è chiamato Stadio del Partito Nazionale Fascista, poi Stadio Torino e infine Stadio Flaminio. Lo stadio di Piola e di centinaia di giocatori che con le loro imprese hanno fatto la storia di questa società. Lo stadio che tutti i tifosi biancocelesti sentono un po’ loro e che vorrebbero come casa. Uno stadio in grado di fare veramente la differenza come Anfield a Liverpool o come la “Bombonera” a Buenos Aires, con le tribune che vibrano quando la gente salta e canta.E in quello stadio i vari settori avrebbero i nomi di grandi del passato: la tribuna d’Onore Umberto Lenzini, la Tribuna Giorgio Chinaglia, la Tribuna Luciano Re Cecconi, i Distinti con i nomi di D’Amico, Wilson, Pulici e Fiorini.Poi la curva Maestrelli e la Curva Nord intitolata a Gabriele Sandri o a Vincenzo Paparelli.

E in quello stadio, ogni partita in casa dovrebbe essere una festa per celebrare un campione del passato, per ricordare alla gente chi ha scritto veramente la storia della Lazio.

La Lazio che sogno avrebbe un DS che ha la Lazio nel cuore e che non fa proclami e non sbandiera curriculum, ma lavora in silenzio per fare realmente il bene della Lazio, non del “padrone della Lazio”.

La Lazio che sogno, in Lega, Federcalcio e nelle sedi Fifa e Uefa sarebbe rappresentata da gente di provata fede laziale e con un passato laziale, non da gente che dorme in platea durante i discorsi o da personaggi sconosciuti che con la Lazio e la Lazialità non hanno nulla a che fare.

La Lazio che sogno giocherebbe con uno sponsor sulla maglia, oppure in assenza di uno sponsor in grado di portare decine di milioni di euro giocherebbe tutte le domeniche usando quello spazio vuoto sulla maglia per lanciare un messaggio importante, approfittando della vetrina mediatica che ti garantisce il calcio e un campionato trasmesso in tutto il mondo.

La Lazio che sogno non userebbe mai la maglia per fare tristi cambi merce per risparmiare le spese mediche o i soldi dei biglietti aerei per le trasferte, magare per volare poi nel 2025 (come sta succedendo) con aerei ad elica che mettono paura solo a vederli da lontano.

La Lazio che sogno, ricorderebbe con affetto tutti i suoi figli scomparsi e non si allenerebbe in un centro sportivo senza nome, ma in un impianto dedicato ad esempio a Bob Lovati, uno degli uomini che hanno contribuito a far diventare leggendaria la storia ultracentenaria di questa società e che è stato subito dimenticato da chi guida questa società, salvo poi decidere di intestargli una Academy presentata in pompa magna e di cui non si ha traccia dopo più di 11 anni dalla posa (simbolica) della prima pietra.Nella Lazio che sogno, i viali del centro sportivo porterebbero i nomi di Tommaso Maestrelli e di Sven Gora Eriksson.

E nella Lazio che sogno la sala stampa del centro sportivo porterebbe il nome di Andrea Pesciarelli, che di questa Lazio era tifoso e che in quella sala-stampa di Formello ci ha passato per lavoro centinaia di ore: ridendo e scherzando con i colleghi, senza mai alzare la voce e senza mai fare una polemica. E per questo era amato da tutti.

La Lazio che sogno non avrebbe bisogno di scrivere sulla maglia o sulla fiancata del pullman di essere nata prima di qualcun altro, perché ripetere all’infinito quello che è scritto nei libri di storia non serve, se non per tentare di arruffianarsi qualcuno. Perché che la Lazio sia nata prima degli altri è scritto a caratteri cubitali nei libri della storia del calcio italiano e nel codice di iscrizione alla Federcalcio. E questo nessuno lo può cambiare: perché non si può modificare a proprio piacimento la storia.

La Lazio che sogno, inviterebbe ogni anno lo sponsor tecnico ad ascoltare i desideri della gente prima di disegnare la maglia, magari chiedendo proprio ai tifosi di proporre dei bozzetti e comunque riproponendo ogni anno almeno una maglia con quell’aquila sul petto che tutti ci hanno invidiato e ci invidiano, perché speciale, da tutti i punti di vista.

E, comunque, la Lazio che sogno sceglierebbe sempre e comunque una maglia nel rispetto dei colori e delle tradizioni, senza le macchie, le strisce o i ghirigori vari che nel corso di questo ventennio a volte l’hanno resa amata solo perché era la maglia della Lazio, ma lontana anni luce da quello che è sempre stata la Lazio.

La Lazio che sogno, infine, avrebbe sulla sua panchina un Sarri solo se decide di seguirlo e assecondarlo, oppure un allenatore di grande carisma e carattere come Diego Pablo Simeone o Matías Almeyda, in grado di trasmettere garra alla squadra e di trascinare la gente.

La Lazio che sogno, insomma, sarebbe questo e tanto altro ancora. E come vedete non ho parlato di giocatori o di campioni, perché prima di quelli per me viene tutto il resto, così come edificando una casa si costruiscono prima le fondamenta e poi si costruisce tutto il resto e alla fine ci si dedica all’arredamento interno, ovvero ai giocatori.

La Lazio che sogno, non è solo un sogno, ma una speranza legata a un futuro prossimo, a quello che arriverà dopo la fine di questo ventennio che ha portato sì 6 trofei ma che ha devastato il mondo Lazio.La Lazio che sogno è una speranza legata al futuro. Perché sperare in un futuro migliore e diverso non significa staccarsi dalla realtà e nemmeno rinnegare la propria storia o l’amore per quei colori che ti hanno rapito il cuore da bambino.

Sperare in un futuro diverso per me in questi 21 anni ha significato sempre e significa ancora oggi lottare perché quel futuro in qualche modo diventi realtà, portando un piccolo contributo per fa sì che ci sia veramente questo cambiamento.

Per questo ho sempre sognato e ho lottato per vedere una Lazio diversa anni luce da quella attuale.

Per questo, nonostante tutto e tutti e al contrario di tanti io non mi sono mai rassegnato ad accettare quel presente fatto di solide realtà e di impossibilità a sognare e non mi sono mai fatto andare bene qualsiasi cosa passasse il convento.

Perché “a Lazio è a Lazio”, non è mai stato e non sarà mai il mio motto. Io voglio una Lazio orgogliosa e ambiziosa, non che vinca per forza ma che almeno possa sognare o ambire a lottare per qualcosa, una nave che navighi e che non si accontenti di restare semplicemente a galla.

E sono convinto che la Lazio che verrà sarà tutto questo e forse addirittura molto ma molto di più…FORZA LAZIO!

Stefano Greco